Fine della seconda repubblica?

La Seconda Repubblica è finita il 9 novembre 2016

L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca decreta la fine di quell’epoca di globalizzazione e finanza selvaggia avviata 27 anni prima, con la caduta del muro di Berlino: è stato il cosiddetto “Nuovo Ordine Mondiale” post-Guerra Fredda. È significativo che Lucia Annunziata abbia commentato la vittoria di Donald Trump con un articolo apparso sull’Huffington Post, intitolato proprio “Nuovo Ordine Mondiale”4, quasi a sancire pubblicamente l’apertura di nuovo ed ennesimo capitolo della storia, dopo la parentesi unipolare durata dal 1989 al 2016.

Sull’Italia, ora come allora, si riverberano gli effetti dei cambiamenti internazionali.

La fine della Prima Repubblica, che molti fanno coincidere con l’inchiesta di Tangentopoli del 1992, va in realtà retrodatata al novembre 1989: sono la caduta del Muro di Berlino e la fine del mondo bipolare che, a distanza di tre anni, produrranno l’inchiesta giudiziaria benedetta dagli USA, che spazzerà via democristiani e socialisti. Il nuovo corso della storia, aperto ufficialmente con l’insediamento alla Casa Bianca di Bill Clinton (gennaio 1993), rende infatti d’intralcio quella classe dirigente italiana legata all’economia mista, ad una politica estera filo-araba e, per quanto possibile, conciliante con la Russia ed il Terzo Mondo. Il “Nuovo Ordine Mondiale” prevede il neoliberismo spinto, la supremazia della finanza ed il totale appiattimento dell’Italia alle politiche atlantiche: in sostanza, implica l’adozione dell’euro e la convergenza dell’Italia verso l’Unione Europea.

L’oligarchia atlantica reputa che, per l’attuazione di questa agenda, l’establishment della Prima Repubblica (che sulla carta avrebbe dovuto incassare i dividendi della “vittoria sul comunismo), non sia più idoneo: troppo legato a logiche nazionali e geloso della sovranità italiana. Gli angloamericani, quindi, spazzano via il Pentapartito avvalendosi dei servigi del pool di Milano e puntano sui deboli e ricattabili ex-comunisti, divenuti ora PDS. L’ingresso di Silvio Berlusconi in politica (dettato dal timore che gli ex-comunisti colpiscano le sue aziende televisive) non è previsto e, di conseguenza, prontamente sabotato col mandato di comparizione del novembre 1994.

Comincia così l’epoca dei governi Dini, Prodi, D’Alema ed Amato, che traghettano l’Italia nell’euro a colpi di salassi fiscali e privatizzazioni: l’economia mista, che aveva elevato l’Italia da Paese semi-industriale a quinta economia del mondo, è smantellata con noncuranza, regalando sfiziosi bocconi a speculatori internazionali come George Soros ed a pescecani locali del calibro di Carlo De Benedetti. Così facendo, la Seconda Repubblica lega i suoi destini a quelli della moneta unica, dell’Unione Europea e dell’oligarchia euro-atlantica, incarnata dal clan Clinton (e successivamente da Barack Obama): o la va o la spacca.

L’euro, le cui basi sono state gettate col Trattato di Maastricht del 1992, entra in circolazione nel 2002, con immediati effetti di impoverimento e di perdita di competitività, ben visibili nella bilancia commerciale: si accumulano così quelle tensioni che, al primo choc esterno (la bancarotta di Lehman Brothers del 2008) innescheranno l’attesa eurocrisi da cui dovrebbero nascere gli Stati Uniti d’Europa. Silvio Berlusconi, intenzionato secondo alcune indiscrezioni ad abbandonare l’euro, è accompagnato nuovamente alla porta (novembre 2011), per cedere il posto ad figura di spicco dell’oligarchia massonica-finanziaria pro- euro e pro-UE, il professore Mario Monti.

Subito però emerge che l’establishment tedesco (eccezion fatta per Angela Merkel) non è assolutamente interessato a sobbarcarsi i costi dell’eurozona (nein agli eurobond ed alla “tranfer-union”) né a diluire la Germania (come del resto anche la Francia) in un organismo sovranazionale, i cosiddetti USE: l’euro, quindi, rimane un semplice regime a cambi fissi, perpetuabile solo con devastanti politiche d’austerità e di svalutazione interna. L’esperimento di Monti fallisce miseramente e quello di Enrico Letta neppure decolla. Che fare? L’establishment euro-atlantico e quello italiano giocano l’ultima carta: Matteo Renzi, definito non a caso dal Financial Times come “the last hope for the Italian elite”5.

Il “rottamatore” è, in realtà, un banale esempio di gattopardismo politico: l’establishment presenta Renzi come “il rinnovamento”, quando è in realtà l’extrema ratio per tentare di salvare la Seconda Repubblica ed i suoi due pilatri, euro ed Unione Europea. Matteo Renzi non solo si pone in perfetta continuità con l’ordine esistente, ma addirittura accentua l’appiattimento dell’Italia sulle posizioni euro-atlantiche: privatizzazioni di quel che è rimasto, “Job Act”, rottura dei rapporti con l’Egitto, sostegno alla Fratellanza Mussulmana in Libia, schieramento di soldati italiani al confine con la Russia, riforma costituzionale sponsorizzata dall’alta finanza, invasione programmata dell’Italia incentivando al massimo i flussi migratori dal Nord Africa.

Matteo Renzi è, in un certo senso, l’apoteosi della Seconda Repubblica: distruzione della base produttiva e sistematica violazione degli interessi nazionali.

Il gioco dura finché il “Nuovo Ordine Mondiale” uscito dal 1989 regge: se l’ordine vigente crolla, è inevitabile che l’establishment italiano subisca gli effetti degli stravolgimenti internazionali. Il 9 novembre 2016, ossia l’elezione alla Casa Bianca di Donald Trump, un presidente anti-europeista, isolazionista e protezionista, è per la Seconda Repubblica quello che il 9 novembre 1989, ossia il crollo del muro di Berlino, fu per la Prima. È il suono della campana a morto.

È la fine di Matteo Renzi, Giorgio Napolitano, Mario Draghi, Sergio Mattarella, Laura Boldrini, Romano Prodi, Massimo D’Alema, Silvio Berlusconi, Enrico Letta, Giuliano Amato, Pierluigi Bersani, etc. etc. Ma è la fine anche del Movimento 5 Stelle, prodotto, come abbiamo sempre sottolineato nelle nostre analisi, di quell’élite massonico-finanziaria che ha sinora tirato i fili dell’Unione Europea (si ricordino gli espliciti richiami del buon anima Gianroberto Casaleggio al “Nuovo Ordine Mondiale”, nel suo video “Gaia” carico di allusioni mondialiste-massoniche).

È difficile pronosticare quali forze politiche emergeranno in Italia dopo l’inevitabile collasso della moneta unica e dell’Unione Europea, ma l’agenda, in un certo senso, è già tracciata e contempla un ritorno al passato: economia mista, svincolamento dell’egemonia angloamericana, vocazione mediterranea e sinergie con il nuovo mondo che sta sorgendo ad Oriente.

http://federicodezzani.altervista.org/litalia-trump-lestablishment-attende-inquieto-la-fine/

4 http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/nuovo-ordine-mondiale_b_12878384.html

5 https://www.ft.com/content/21f3bf46-86cd-11e4-9c2d-00144feabdc0

I regali della Befana

Per spiegare il titolo dobbiamo tornare al  tempo in cui è stato scritto l’articolo (vedi sotto):
Nel silenzio e nel disinteresse più assoluti da parte dell’opinione pubblica, il Titolo V della Costituzione ha già subìto modifiche recenti – in senso neo-centralista – proprio da parte del governo dei “tecnici” del 2012; oltre alla nota modifica dell’Articolo 81 della Costituzione relativa al pareggio di bilancio, il Governo Monti ha infatti realizzato due ulteriori e complementari modifiche.

  • Grazie alla riforma dell’Articolo 117, è stata attribuita allo Stato la prerogativa di “armonizzazione dei bilanci pubblici”, vale a dire la possibilità d’intervenire sulla facoltà di spesa delle amministrazioni locali.
  • Grazie alla riforma dell’Articolo 119, si è imposto a Comuni, Province e Regioni “l‘osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea”.

Per farla breve, l’attuazione delle politiche di austerità imposte dall’Unione Europea ha necessitato di sottrarre il potere di spesa agli enti locali. Nel periodo in cui queste riforme venivano attuate, Monti trovò dura opposizione da parte di tutti i Presidenti di Regione. Per l’ex-advisor di Goldman Sachs fu allora un vero e proprio colpo di fortuna che, poco prima dell’attuazione dei tagli previsti dalla spending review, la magistratura mettesse sotto inchiesta dieci amministrazioni regionali su venti. E così, negli stessi giorni in cui l’opinione pubblica volgeva la propria beata e ignorante attenzione verso le feste in maschera di Franco Fiorito, in maniera completamente indisturbata Mario Monti procedeva con un taglio di 12 miliardi alla Sanità realizzato in larga parte sottraendo risorse alle Regioni.

Come a questo punto dovrebbe risultare chiaro, l’azzeramento delle autonomie locali risponde allo stesso disegno strategico che muove le politiche economiche a livello nazionale: incrementare l’austerità, realizzare quanto annunciato senza giri di parole da Mario Draghi con l’affermazione “il modello sociale europeo è morto”. In breve: abbattere il welfare state.
Nel caso italiano, a partire dalla Riforma Bassanini, non è però possibile demolire il welfare senza sottrarre preliminarmente potere agli enti locali. Che si tratti della competenza delle Regioni sulla Sanità, di quella delle Province sull’istruzione oppure del ruolo dei Comuni rispetto ad asili e assistenza ai senza fissa dimora, poco importa. Il fiscal compact imporrà manovre da 50 miliardi di euro all’anno per vent’anni e il reperimento di tali risorse renderà inevitabili tagli progressivi alla spesa pubblica. Questi tagli, naturalmente, verranno ogni volta presentati come “riduzione degli sprechi”, come “razionalizzazione delle risorse” e con tutte le altre mendaci formule di cui dispone la propaganda ideologica della classe dominante. Eppure, basterebbe osservare il processo dell’ultimo decennio per comprendere come non sia possibile venire a patti con l’ideologia dei tagli alla spesa, come sia necessario smascherare la funzione ideologica degli enunciati contenenti la parola “sprechi”, come sia prioritario contrastare integralmente questa tendenza.
Esattamente da dieci anni, lo Stato non ha fatto altro che operare tagli progressivi dei trasferimenti dal governo nazionale agli enti locali: prima col governo Berlusconi (2004), poi col governo Prodi (2006), poi ancora col governo Berlusconi (2011), poi col governo Monti (2012) e infine col governo Letta (2013). Tutto questo ha provocato un ridimensionamento di proporzioni immense per tutto ciò che concerne i servizi sociali amministrati dai territori e, in generale, per tutto l’esiguo e traballante impianto del welfare italiano. Non è possibile, in questa sede, elencare tutte le conseguenze che hanno colpito la vita concreta e quotidiana di milioni di persone. Basti citare, tanto per fare un esempio, come la spesa per la sanità sia stata tagliata di 25 miliardi nei soli ultimi tre anni, con conseguente aumento generalizzato dei ticket sanitari e con la riduzione di decine di migliaia di posti letto negli ospedali italiani. Si potrebbe poi continuare parlando dei tagli di 23 miliardi alla scuola pubblica previsti per il triennio 2015-2017 – ambito amministrato finora dai vari enti locali – ma direi che, a questo punto, il concetto che sto cercando di esprimere dovrebbe risultare chiaro.

estratto da http://appelloalpopolo.it/?p=10292 del 6 gennaio 2014

Gli effetti li vediamo oggi
Gli effetti li vediamo oggi