Di chi è il Mondo?

Alla domanda ha  risposto uno studio di due economisti australiani, David Peetz e Georgina Murray della Griffith University nel Queensland.

Essi hanno studiato   le 299  “più grandi imprese” del mondo, le più gigantesche multinazionali quotate nelle borse della Terra: a chi appartengono? Ossia: chi detiene il pacchetto di controllo? Perché tutti questi 299 titani sono, beninteso, imprese quotate; anche tu ed io, caro lettore, possiamo comprarne azioni, sui liberi “mercati” finanziari.  Per questo, vige la convinzione che la proprietà di queste imprese sia  diffusa e sparsa, come una pioggia di coriandoli, tra i risparmiatori, anche piccoli, del mondo. Non per niente  queste compagnie sono chiamate , nel  mondo anglosassone, “public companies”, che là significa il contrario  di quel che significa da noi: non imprese statali, ma al contrario imprese private a proprietà molto diffusa, appartenenti dunque, dicono,  al pubblico dei risparmiatori.

Una menzogna, hanno scoperto i due economisti; una menzogna sostenuta dai media  (ovviamente) e dai trucchi linguistici come “public company”.

In realtà, 30  grandi finanziarie, banche e  banche d’affari, detengono o controllano il 51,4 per cento del capitale delle 299 grandissime imprese mondiali.  Un solo fondo speculativo, il Black Rock (con sede in Usa), detiene  da sé solo il 6%  di tutte le azioni delle 299 compagnie,  mentre le famiglie (i risparmiatori) di tutto il mondo ne detengono il 3,3 per cento – una quota minima – ed anche le imprese industriali [che spesso investono la loro liquidità in portafogli azionari] detengono relativamente poco”.

Sono le finanziarie, non le industrie, a detenere la proprietà delle grandissime aziende. Dopo la Black Rock, le maggiori detentrici di azioni dei 299 titani mondiali sono  AXA, (3.4%), JP Morgan Chase (3%) e  Capital Group (2.5%): tre su 4 sono americane.

Non solo le cifre che detengono sono  astronomiche  – BlackRock quasi  tre trilioni,  ossia 2,9  mila miliardi di dollari, la francese AXA 1,7 Capital Group 1,6 trilioni…; non solo in   molti casi un 6%   basta come quota di controllo di certe imprese.  Gli studiosi hanno scoperto che spesso, dietro   gli azionisti”anonimi” o fiduciari   che vengono celati da camere di compensazione come Euroclear e Clearstream, ci sono sempre le solite: i detentori reali non decidono loro come investire, ma si affidano –  come a gestori di fondi d’investimento –  a Black Rock, Capital Grooup, AXA, alle trenta grandi finanziarie.

Succede così che nel 55% delle  grandissime imprese, BlackRock sia fra i primi cinque azionisti; Capital Group lo è nel 45%  delle imprese multinazionali. Nel 56% delle multinazionali, i cinque  primi azionisti, che  le controllano, hanno meno del 15%.

Ecco dunque dove vanno a finire i fiumi di denaro che le finanziarie estraggono ai debitori privati americani: nell’acquisto di azioni di multinazionali. “Una concentrazione mai vista nella storia”, dicono i due economisti. Bisogna dar ragione al vecchio Marx (insuperabile nella critica al capitalismo): il capitale lasciato libero  produce colossali concentrazioni a danno di chi lavora e produce.

Il peggio è che queste  proprietarie essendo (6 su 10) americane, portano nella gestione delle grandi imprese multinazionali, anche in quelle industriali, i criteri proprio della dogmatica liberista-finanziaria americana, della “filosofia” e “strategie” di Wall Street.

Queste istituzioni speculative non governano   insediando nelle imprese di cui sono azioniste di controllo, direttori di loro fiducia; non si assumono alcuna responsabilità di settori di cui, in realtà, non sanno niente;  governano “con l’uscita” (dicono i due economisti), ossia con la minaccia onnipresente di liberarsi delle azioni della grande impresa, “se non realizza profitti sufficienti”. Insomma essi minacciano di svalutare il patrimonio azionario delle grandissime imprese   se non fanno quel che vogliono loro. E cosa vogliono?  “Che creino valore per l’azionista”. Vogliono ricavare altri profitti finanziari dai loro profitti finanziari che hanno estratto dai debitori del mondo (mica solo i consumatori USa, pensate agli Stati, all’Italia a cui prestano ad interesse).  Alle aziende impongono di massimizzare i profitti –  per esempio con “aumenti di produttività”, che significa pagare meno salari, o sostituire i salariati con robot,  “riduzione dei costi” (idem) e “espansione”  – altrimenti,minacciano, “vendiamo la nostra quota”.

Non è più la logica dei capitalisti industriali, sottolineano i due autori: “perché il capitale industriale, in fin dei conti, è  il capitale finanziario. Se è esistito un tempo in cui il mondo era dominato da grandi imprese detenute da qualche famiglia le cui fortune personali, le preferenze e (se  vogliamo) le eccentricità modellavano il comportamento delle ditte, questo tempo è passato. Oggi le imprese obbediscono alla logica del capitale finanziario, la logica del denaro: e una logica non individuale, ma di classe”.

http://theconversation.com/who-owns-the-world-tracing-half-the-corporate-giants-shares-to-30-owners-59963

 

Ovviamente nulla di nuovo.  I due hanno certamente in mente Henry Ford, quello che decise di pagare i suoi operai abbastanza bene  perché potessero diventare acquirenti delle sue auto.

estratto da http://www.maurizioblondet.it/rimedio-alla-crisi-noto-non-si-puo-dire/